La terapia della Depressione nell’adulto ha diverse componenti, una componente non farmacologica e una componente farmacologica. Questo perché a seconda delle caratteristiche della persona e della malattia, è sempre utile discutere gli effetti terapeutici e i possibili effetti collaterali delle opzioni disponibili, così da concordare quale terapia intraprendere. La terapia non farmacologica consiste in genere in un percorso di psicoterapia. La terapia farmacologica consiste tipicamente in un trattamento con farmaci della classe degli antidepressivi, come gli SSRI o gli SNRI, in genere ben tollerati. La durata della terapia è differente a seconda della storia clinica precedente, delle caratteristiche della malattia e delle preferenze del paziente, e comunque non è mai inferiore a diversi mesi. È perciò sempre importante fare una valutazione con uno specialista in Psichiatria per ragionare sulla diagnosi, su quale possa essere la terapia più appropriata, sugli effetti terapeutici, sui possibili effetti colleterali, sulle possibili interazioni e sulle aspettative rispetto al trattamento.
Vediamo ora in modo più approfondito la terapia della Depressione.
Indice
Quali terapie si usano nella terapia della Depressione?
Terapie non farmacologiche
Sono usate tipicamente psicoterapie, come la Terapia Cognitivo-Comportamentale (CBT), la psicoterapia interpersonale o altre forme di psicoterapia, a seconda delle caratteristiche dei pazienti. Solo nei casi più lievi, secondo la valutazione del medico, possono essere usate senza terapia farmacologica a supporto.
Terapie farmacologiche
Come terapia farmacologica di prima scelta nella terapia della depressione si usano farmaci della classe degli antidepressivi. Diverse tipologie di farmaci rientrano nella classe degli antidepressivi. La tipologia di uso più comune è quella degli SSRI e SNRI che ha quasi completamente soppiantato l’uso degli antidepressivi che si usavano in precedenza, come i TCA e i MAOI. In genere viene usato un solo farmaco per i possibili rischi di interazione nell’uso di più farmaci (anche di classi diverse), come la sindrome serotoninergica.
SSRI, SNRI e atipici
I SSRI (Selective Serotonin Reuptake Inhibitor) sono farmaci che inibiscono la ricaptazione della serotonina nella trasmissione tra neuroni. Questo significa che se la serotonina non viene ricaptata, rimane più a lungo e agisce più a lungo sui neuroni. Fanno parte di questo gruppo farmaci come Fluoxetina, Sertralina, Paroxetina, Fluvoxamina, Citalopram, Escitalopram.
I SNRI (Serotonin and Noradrenaline Reuptake Inhibitors) funzionano in maniera simile, aumentando il segnale ai neuroni non solo di serotonina, ma anche di noradrenalina. Tuttavia, non hanno un’efficacia maggiore degli SSRI. Fanno parte di questo gruppo farmaci come Venlafaxina e Duloxetina.
Inoltre, altri farmaci definiti antidepressivi atipici (perché non rientrano tra gli SSRI e i SNRI) hanno effetto e indicazione nella terapia della depressione pur agendo su neurotrasmettitori diversi, come la dopamina. Tra questi, i più utilizzati sono Mirtazapina, Trazodone, Bupropione e Agomelatina. Infine, farmaci più recenti come la Vortioxetina cercano di unire alcune caratteristiche degli SSRI/SNRI e alcune degli atipici per agire meglio sulla depressione. Tuttavia, la superiorità della Vortioxetina rispetto agli altri farmaci non è ancora stata dimostrata, ed è perciò solo una delle opzioni ma non per forza la prima.
Altri farmaci
I TCA (detti Triciclici, per la loro struttura molecolare) e i MAOI (inibitori delle Monoamino-Ossidasi) sono farmaci decisamente meno recenti che venivano storicamente usati per la terapia della depressione e per altri disturbi psichiatrici. Oggi vengono usati molto meno di frequente per via dei loro più frequenti effetti collaterali, come ad esempio l’elevato rischio di interazioni, i rischi per il cuore dei TCA, o il rischio di crisi ipertensive dei MAOI con assunzione di alcuni cibi o sostanze. In considerazione della lunga lista di possibili interazioni e di effetti collaterali nella pratica clinica, di fatto, vengono usati i TCA solo quando multipli trattamenti con SSRI, SNRI o con antidepressivi atipici non hanno avuto effetto. I MAOI, invece, sono ormai in disuso. Infatti, da anni non ci sono più MAOI approvati per l’uso in malattie psichiatriche in Italia.
Terapie di potenziamento
In caso di malattia resistente al trattamento, possono essere usate terapie di potenziamento nella terapia della depressione. In genere vengono utilizzate quando la terapia con un singolo farmaco ha dato risultati solo parziali. Tra i farmaci più comuni, vengono utilizzati il Litio (usato nella terapia del Disturbo Bipolare) o alcuni farmaci della classe degli antipsicotici di seconda generazione (usati nella terapia della Schizofrenia, anche se nella depressione sono usati tipicamente a un dosaggio più basso).
Come funzionano gli antidepressivi?
Si era ipotizzato che nella depressione ci fosse una carenza di serotonina, noradrenalina e dopamina in alcune aree del cervello e che, una volta ristabilito l’equilibrio di questi neurotrasmettitori, si riequilibrasse anche l’umore. Nel tempo, però, sono stati ipotizzati anche meccanismi più complessi, come ad esempio il ruolo dello stress, di ormoni e della neuroplasticità, cioè la capacità dei neuroni di modificarsi nel tempo, che nella depressione sarebbero alterati. Non tutti i farmaci antidepressivi funzionano allo stesso modo e, infatti, presentano delle particolarità nel modo in cui si legano ai recettori, in cui possono essere metabolizzati e nei loro effetti collaterali. In conclusione, la depressione sembra dipendere da diversi meccanismi, non necessariamente tutti coinvolti in tutte le persone allo stesso modo. Per questo nessuna depressione è uguale ad un’altra, e il trattamento deve essere individualizzato all’interno di un percorso di cura.
Come viene scelta la terapia per la Depressione?
La scelta della terapia va effettuata tenendo in considerazione fattori come effetti terapeutici, possibili effetti collaterali e avvertenze, discutendoli coi pazienti, esplicitando e concordando la scelta fatta.
Durata della terapia farmacologica
La durata del trattamento è variabile. In genere si risponde ai farmaci già dopo poche settimane (e qualcuno risponde anche dopo solo qualche giorno), e può esserci una completa risoluzione dei sintomi. Tuttavia, la durata della terapia è tipicamente di diversi mesi dal ritorno ad un umore normale, e a seconda della gravità del caso o di episodi precedenti può anche essere più lunga. Questa durata, che può sembrare molto lunga, serve per permettere una stabilizzazione dei sintomi. Inoltre, è molto importante non interrompere la terapia di colpo per il rischio di una ricaduta depressiva e per i possibili effetti di discontinuazione dagli antidepressivi, che con attento monitoraggio e una diminuzione lenta e progressiva del farmaco possono essere molto lievi. L’interruzione va quindi sempre concordata col medico, che ne spiegherà le modalità più appropriate.
Scelta del farmaco
In genere si inizia con un farmaco solo, sulla base delle caratteristiche della patologia e del paziente. Tipicamente servono da una a tre settimane per iniziare a vederne i primi effetti, e fino a quattro o cinque settimane per poterne valutare l’efficacia. Non tutti i pazienti, però, migliorano. Qualcuno può necessitare fino a sei o otto settimane. Qualcuno può sentire degli effetti collaterali che non riesce a sopportare, e perciò il farmaco viene cambiato (switch). In altri casi il farmaco può non essere stato efficace per diverse ragioni, per esempio alcuni tra noi metabolizzano più velocemente alcuni farmaci, e perciò può essere necessaria una posologia diversa per sentirne gli effetti. Proprio per questo, la maggior parte dei farmaci antidepressivi ha un dosaggio minimo approvato nella sua scheda tecnica, ma anche un dosaggio massimo. Il medico, se non ci sono risultati col trattamento al dosaggio minimo, può scegliere di indicare un progressivo e lento aumento del dosaggio del farmaco, continuando a monitorarne gli effetti, fino a raggiungere il dosaggio massimo. Nel caso in cui non ne veda comunque gli effetti, o si presentino effetti collaterali non sopportabili, può fare uno switch ad altro antidepressivo. Se invece la risposta è solo parziale, quindi c’è un miglioramento di alcuni sintomi ma non si può definire una remissione completa dei sintomi depressivi, in alcuni casi vengono usate terapie di potenziamento (che viene detta augmentation).
Nei primi giorni con un antidepressivo, può anche essere prescritta in associazione una terapia con benzodiazepine per tenere l’ansia sotto controllo. Tuttavia, per il rischio di diventarne dipendenti, non dovrebbe essere usata per più di due settimane. Anche per questo, non viene prescritta sistematicamente. Nella mia esperienza diversi pazienti hanno riferito di non averne avuto bisogno, soprattutto se c’era la possibilità di iniziare la terapia con SSRI a dosaggi bassi e salendo lentamente.
In caso di continua resistenza alla terapia, e dopo diversi tentativi con multipli farmaci, altre strategie non farmacologiche possono essere proposte come la ECT (terapia elettroconvulsiva) e la rTMS (stimolazione magnetica transcranica ripetitiva). Ogni strategia di ultima linea ha i suoi pro e contro. Tuttavia, nonostante diverse evidenze scientifiche positive nei casi resistenti, ancora oggi alcune di queste vengono ancora viste con sospetto.